SIC Blog → Il mostro: Vanni Santoni intervista Paolo Agaraff

Operativo da oltre dieci anni e con svariati romanzi e racconti all'attivo, il collettivo Paolo Agaraff è una delle realtà più longeve e prolifiche nel mondo della scrittura collettiva italiana. Vanni Santoni li ha intervistati per il SIC blog.

Come nasce Paolo Agaraff e come si sviluppa il suo percorso letterario,
 specialmente per quel che concerne i romanzi, sia a livello di tipologia
 di produzione che di metodologia utilizzata?

La nascita di un simile mostro1 risale a a una calda notte dell'estate 2001, quando tre personaggi in cerca di autore capirono che per trovarlo dovevano unire le loro precarietà letterarie.
Ma un autore non può dirsi tale finché non pubblica qualcosa. Nel caso di Agaraff, il battesimo è avvenuto nelle limpide acque della Tailandia, rito accompagnato da un sommesso gracidare di batraci assai speciali: Le rane di Ko Samui è una storia di turismo e orrori primevi, narrata dal punto di vista di tre anziani, protagonisti (loro malgrado) di rapimenti, indagini e incontri surreali. Ironia, fantastico ed esotismo costituiscono i principali ingredienti dell'opera. I primi due elementi sono tradizionalmente poco graditi dalla critica italiana, affetta dal morbo dell’abate Jorge ( “Ci sono dei confini al di là dei quali non è consentito andare… hic sunt leones”). Abbiamo deciso semplicemente di infischiarcene, ovvero di scrivere quello che ci andava di scrivere.
Con somma soddisfazione dell'editore, ciò non ha inficiato le vendite del libro e ha dimostrato che il mercato era pronto a sostenere un'operazione del genere. Il mercato è quello dei giocatori di ruolo: non è un caso, infatti, che il libro sia stato lanciato nel 2003 a Lucca Comics and Games, la principale manifestazione italiana dedicata al fumetto e al gioco intelligente. Contestualmente al libro, Agaraff ha presentato gli scenari per gioco di ruolo e di narrazione ispirati alle sue ranocchie.
A questo sono seguiti vari altri racconti e romanzi, con il medesimo marchio del fantastico e dell’ironia, tra i quali ricordiamo due recenti esempi strettamente legati a Le rane di Ko Samui: un prequel (I ciccioni esplosivi, Montag, 2009), a cura del cugino/fratello Pelagio D’Afro, e il sequel: Il quinto cilindro (Montag, 2010).
Mentre Le rane di Ko Samui ha ispirato dei giochi di ruolo, Il quinto cilindro ha seguito un percorso inverso, ovvero l’idea originaria è nata da uno scenario per Il richiamo di Cthulhu pubblicato nel 1999 da due terzi di Agaraff sulla rivista PowerKaos della casa editrice Nexus.

Noi fondatori SIC citiamo sovente il gioco di ruolo, in quanto forma di 
produzione
 collaborativa di narrazione, tra i nostri ascendenti principali – l'altro 
è
 lo sviluppo di  software a sorgente aperta – dalla vostra biografia pare
 che il legame di Paolo Agaraff con tale mondo (addirittura Kaos: mitica, la compravo sempre – quella volta ogni cinque mesi in cui usciva) sia anche più
 profondo.

I riferimenti allo sviluppo di software a sorgente aperta sono noti ad almeno un terzo di Agaraff. Non è un caso che il suo metodo di scrittura mostri delle somiglianze con il processo di sviluppo noto come Extreme Programming.
Siamo giocatori di ruolo, sin dai tempi della scatola rossa di Dungeons & Dragons, e abbiamo cominciato a scrivere avventure (o scenari, se preferite) già alla fine degli anni ‘80. Abbiamo avuto la fortuna di vivere in pieno l'età dell'oro del gioco di ruolo, prima che l'avvento di Magic e dei suoi succedanei calamitasse l'interesse dei giocatori in altre direzioni.
Dobbiamo molto anche al cinema e alla letteratura di genere, anche se non disdegniamo altri interessi nel campo delle arti.
Con questi presupposti, al contrario di altri autori multipli, Agaraff non nasce tanto come “golem letterario”, quanto come “cantastorie” prestato alla letteratura.
Come avete ricordato, alla fine degli anni ’90 tutti e tre i pezzi di Agaraff facevano parte della redazione di Entropia, la rivista digitale dedicata al fantastico e al gioco, edita dalla casa editrice Nexus. In quell’occasione, per la prima volta, abbiamo pensato di “mettere in risonanza” le nostre diverse capacità.
Due di noi2 (Gabriele e Roberto) si sono da sempre occupati di gioco di ruolo e di narrazione, con una copiosa produzione di scenari e avventure. Alessandro, invece, è sempre stato il pezzo di Agaraff più affetto da velleità letterarie, ma più incline a cesellare un racconto che a scrivere un romanzo. Dalla sinergia di queste due anime complementari è nato lo spirito della nostra produzione ludico-letteraria: oltre a scrivere racconti e romanzi, traiamo da essi scenari e sceneggiature per giochi di ruolo (Il richiamo di Cthulhu) e di narrazione (OnStage!).
Non è possibile stabilire se nasca prima lo scenario o il libro: si tratta di forme differenti della stessa storia. Il lavoro preparatorio è identico, quello che cambia è solo il modo di raccontarla.
Nel caso del libro è il narratore che si fa al contempo regista e interprete: prevale la forma scritta, un monologo che guida il lettore attraverso la storia.
Nel caso del gioco, invece, il narratore è solo un cantastorie che costruisce ambientazione e profili dei personaggi, poi lascia che siano i giocatori a sviluppare su quella base la propria storia, tutti insieme, come nella commedia dell’arte.
È interessante notare che spesso le trasposizioni in forma di gioco dei libri fanno apparire i limiti delle trame.
Un bravo giocoruolista può accorgersi dell’assurdità dei comportamenti di alcuni personaggi del libro, comportamenti che possono a volte risultare contraddittori o addirittura materialmente impossibili; un bravo giocatore può inoltre scoprire l'esistenza di modi ben più efficaci di quello proposto dall’autore per affrontare una certa situazione.
La coerenza dei profili dei personaggi con la propria storia personale e con l’ambientazione deve quindi essere rispettata, dalla prima all’ultima riga.

Pelagio d'Afro lavora in modo diverso rispetto a Paolo Agaraff?



La ricetta di Pelagio e Agaraff è la medesima, ciò che cambia sono solo gli ingredienti, ovvero i pezzi d’autore. Questo fa sì che stile e genere (il sapore del piatto servito al lettore) siano sensibilmente diversi, nonostante alcuni ingredienti e il metodo di cottura siano i medesimi.
Agaraff propende per il genere fantastico, in tutte le sue declinazioni, mentre per Pelagio l’elemento surreale e grottesco prende spesso il sopravvento. Questo fa sì che le opere pelagiche tendano più al noir, mentre quelle agaraffiane al fantascientifico.
A parte questo, il metodo di lavoro è lo stesso.
Un'opera agaraffiana (o PelAgaraffiana) nasce sempre con una discussione più o meno lunga, condotta faccia a faccia: in questa fase è molto importante l'interazione3 tra i partecipanti. Il tema può essere vario, da un'idea appena abbozzata alla discussione approfondita di una trama frutto di riunioni precedenti. Il risultato è un documento di riferimento con idee, annotazioni a margine, brandelli di dialogo, URL e bibliografia di riferimento, qualche volta scene e trame più dettagliate. Questo processo è reiterato, anche a distanza (tramite email), fino al raggiungimento di una massa critica di materiale. Il documento finale diventa il riferimento a cui il trio si atterrà per lo sviluppo dell'opera.
Inizia ora la fase di scrittura vera e propria. Ognuno dei tre scrive a turno, secondo tempi e modi a lui congeniali, con l'unico vincolo di inviare il manoscritto agli altri entro un tempo limite fissato (tipicamente una settimana, eccezionalmente dieci giorni). Successivamente, chi prende in carico l'opera ha facoltà di apportare qualunque cambiamento ritenga necessario, sia nella struttura che nello stile, con l'unico obbligo di motivare le modifiche più corpose e sostanziali. Il processo si ripete fino alla fine dell'opera. A volte capita che qualcuno faccia solo revisione, altri scrivano solamente nuovi paragrafi (magari anche in ordine sparso), ma il contributo più importante che tutti danno è quello della continua rilettura.
Il confronto con gli altri componenti del gruppo arricchisce la scrittura e aiuta a eliminare le imperfezioni del testo. Il processo iterativo permette di introdurre elementi di novità nella storia, superando i limiti e i difetti della sceneggiatura iniziale. Per certi versi, il processo di scrittura ricorda metodo dell’imbianchino: le varie mani di vernice che finiamo per sovrapporre tendono a conferire all’opera uno stile uniforme, diverso da quello di ciascuno dei componenti del gruppo.
Ad ogni iterazione, infatti, la prosa subisce modifiche finché non raggiunge una forma che tutti e tre gli autori considerano accettabile4.

L'Italia è senz'altro, per quantità e qualità di progetti di scrittura
 collettiva, la patria della disciplina. Secondo voi quali sono le 
ragioni e, perché no, le possibili implicazioni future, di questo fatto?


La scrittura collettiva ha avuto un grosso impulso negli ultimi anni, non solo in Italia, grazie alla diffusione delle tecnologie. Internet dà la possibilità di tenersi in continuo contatto, e strumenti come il tracciamento delle revisioni delle applicazioni per scrittura consentono di interagire agevolmente, e di capire al volo dove gli altri pezzi di te stesso hanno messo mano a un manoscritto in fase di sviluppo.
Però gli strumenti sono solo un presupposto tecnico: la scrittura collettiva richiede affiatamento e una certa dose di umiltà e follia. Evidentemente queste tre doti sono più diffuse tra gli scrittori in Italia che all’estero. Soprattutto le ultime due, visto lo scenario piuttosto malinconico dell’editoria italiana.
È interessante tuttavia la domanda sulle implicazioni future... È buffo pensare al panorama letterario italiano tra dieci o cent’anni, e immaginarlo invaso da torme di golem letterari.

Siete al lavoro su qualche nuova opera?


Ci sono molti progetti in corso, anche grazie alla Carboneria Letteraria, un incubatoio di progetti e di autori fondato da Agaraff e da altri appassionati del fantastico e del gioco, come Andrea Angiolino e Lorenzo Trenti, che adesso raccoglie venti autori, tra i quali il Premio Urania Alberto Cola.
Ora, ad esempio, stiamo completando la revisione di due opere carbonare di stampo fantascientifico: un’antologia (L’uomo della galassia stanca) e un romanzo corale scritto a circa quaranta mani che dovrebbe vedere la luce entro l’anno, intitolato Maiden Voyage.
Inoltre, il figlio-cugino Pelagio dovrebbe dare alla luce due romanzi. Uno, in particolare, è ambientato negli anni trenta, come Il sangue non è acqua di Paolo Agaraff, ma è più orientato al giallo che al fantastico. Si intitola L’acqua tace e inizia con una morte misteriosa alle pendici del Monte Conero, e un gruppo di indiziati tra i quali il giovane D’Annunzio.
Infine, visto che un terzo d’Agaraff si sta dedicando con una certa assiduità al teatro, stiamo lavorando a un copione tratto dal racconto Nekton, pubblicato nell’antologia Onda d’abisso.
 

Note

1. È sufficiente uno sguardo al suo autoritratto per intuire la portata di questo eufemismo. Anche gli scettici convengono che Lombroso avrebbe pagato oro per avere tra le mani un ritratto di Paolo Agaraff.

2. Paolo Agaraff è composto da Gabriele Falcioni, Roberto Fogliardi e Alessandro Papini, mentre Pelagio d'Afro conta, oltre a loro, anche Arturo Fabra e Giuseppe D'Emilio.

3. Esempi di interazione: discussione, recitazione, applausi, schiamazzi vari, visione di film, letture, insulti bonari, degustazione dei distillati serviti dal padrone di casa ecc.

4. Il fatto di essere in tre aiuta a dirimere i casi più controversi, come il maledetto avverbio che appare e scompare continuamente.

 

commenti

ritratto di redazione

da Kane

commento di redazione, 16/03/13 - 22:46