SIC Blog → Sei note sull'arte (figurativa) collettiva

Abbiamo ricevuto il seguente contributo da Jacopo Galimberti, poeta e amico della SIC. Dopo aver suggerito su questi stessi forum l'idea della poesia collettiva, Galimberti torna a visitarci parlando stavolta dei processi collettivi nelle arti figurative. Gli spunti di riflessione ci paiono molti e significativi, quindi postiamo direttamente qua in homepage/blog.

Sei note sull'arte (figurativa) collettiva

L'arte figurativa è sempre sostanzialmente stata collettiva. Affreschi, pale d'altare, un grandissimo numero di capolavori attribuiti convenzionalmente a un singolo, sono in realtà opera di cantieri. Recentemente lo stesso Giotto è stato descritto come un grande regista. Ad esempio, le tanto decantate faccette di Assisi potrebbero essere state eseguite da ignoti collaboratori con il metodo dei patroni (delle specie di formelle). Ma il discorso è simile un po' per tutti almeno fino all'ottocento: bottega, lavoro d'équipe, artista principale che si concede in misura diseguale (in funzione del committente, etc. ) e che giunge talvolta ad appaltare l'opera, ritoccare un dettaglio e autenticare. Numerose eccezioni ovviamente: Michelangelo, ad esempio, il cui appellativo «divino» non è genericamente elogiativo ma si riferisce proprio al suo lavorare da solo (oltre che al tema della cappella sistina).

Paradossalmente con i gruppi d'artisti, che siano i nazareni i preraffailliti o i surrealisti la realtà cambia in direzione opposta. L'elaborazione delle linee generali è tendenzialmente collettiva, il gruppo costituisce una sorta di piccola comunità che si tutela e si promuove; la realizzazione dell'opera, tuttavia, resta nella maggior parte dei casi compito del singolo.

Sono gli anni '60 il periodo della collettività in arte. Le ragioni ideologiche che spingono verso la cooperazione sono di volta in volta differenti ma accomunate dal desiderio di farla finita con il mito della genialità, magnifica e totale, degli artisti. Lavorare insieme diventa quasi una moda. Si moltiplicano opere a quattro a cinque a trentacinque mani. Tuttavia, rimangono rari i casi in cui dei gruppi, in modo sistematico, firmano insieme i lavori. Possiamo citare: Art & Language qui, Equipo cronica qui, Equipo realidad qui, Gruppo N qui, Les Malassis qui, DDP qui, Spur qui, piu' numerosi casi di murales di gruppo (Salon de mai a Cuba nel '67 qui), di quadri collettivi («Anti Procès», noto anche come «Grande quadro antifascista» qui e qui, «Vivere e lasciare morire: la morte tragica di M. Duchamp» qui), o ancora esperienze pararivoluzionarie come quelle dell' Atelier de Beaux-arts occupato nel '68 a Parigi qui.

Il passaggio successivo si puo' riassumere cosi': la collettività è contro l'individualismo borghese, d'accordo, ma è pur sempre elitista, il pubblico rimane ai margini in posizione passiva. Verso la metà degli anni '70 si ha infatti un vero e proprio boom di artisti che lavorano in partecipazione con non professionisti: nelle città, nei quartieri, in progetti che fanno dell'estetico un strumento di presa di coscienza e di assunzione di responsabilità dalla base.

Per certi versi SIC, intesa come pratica culturale, si iscrive a mio modo di vedere in questo quadro, ancor più ora che si parla di romanzo aperto a 200 mani. Anzi, per certi versi fa dei passi in più, provo a elencarli: c'è un metodo che garantisce (almeno in teoria) la riproducibilità delle esperienza. Quando i fondatori hanno lanciato la cosa non l'hanno legittimata in quanto scrittori che volevano coinvolgere dilettanti, in un certo senso era la base (il non professionista) che prendeva la parola. Rispetto al lavoro spesso parcellare dei murales o delle istallazioni urbane, Sic propone il «Tutti scrivono tutto» che ha con sè uno spirito utopico che il '68 in confronto era roba per moderati.

Rimane però un problema. Negli anni '70 tutto era o doveva diventare politico. La pratica della cooperazione e della partecipazione avevano un senso preciso: democrazia dal basso e comunismo, qualsiasi cosa significasse. Quale il senso della scrittura collettiva oggi?

P.S. Bibliografia su richiesta. Se il collegamento intertestuale non porta a pagine in italiano (quasi sempre) è perché non ho trovato di meglio.

commenti

ritratto di newdran

Bibliografia

commento di newdran, 07/06/10 - 23:59

Caro Galimberti, mi interesserebbe approfondire l'argomento di questo post. Vedo che scrivi bibliografia su richiesta... mi potresti indicare qualche volume di riferimento?
Grazie.

Daniele

ritratto di Graziano Soru

Prassi degli artisti e arte collettiva

commento di Graziano Soru (non verificato), 06/12/11 - 15:13

La scrittura collettiva è un opera collettiva. Opere collettive possono essere realizzate in settori artistici differenti.

L'opera collettiva è una prassi degli artisti che è sempre esistita e tutt'ora persiste in ogni forma d'arte, sia in totale assenza di società o editori ma anche nel caso ci fosse una loro presenza.

Artista principale e autore di un'opera collettiva è colui che la organizza e dirige: che poi sia privato o professionista non è rilevante. Un artista autore delle proprie opere non è obbligato ad essere professionista o a seguire particolari sistemi organizzativi e/o burocratici.

Quello che non è vietato o obbligatorio è lecito in Italia, in questo caso è legittimo.

Non è necessaria la presenza di alcun editore o la costituzione di alcuna associazione riconosciuta o forma societaria per esercitare questo diritto originario che in quanto tale è innegabile ad ogni essere umano.

Nel caso sia realizzata l'opera collettiva all'interno di un'associazione, società o per conto di un editore, i diritti d'autore sono di questi.

Ottimo Post.

ritratto di Anton

Bibliografia

commento di Anton (non verificato), 06/12/11 - 15:33

Gentilissimo Galimberti, mi ha segnalato questo post un mio amico e mi interesserebbe approfondire quest'argomento e ricevere note sulla tua bibliografia.

Grazie,
Antonio.